La notte del bene

“Tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”. Così inizia uno dei romanzi che ho amato di più, uno tra quelli che non si possono non leggere, ovvero “Anna Karenina” di Tolstoj.

Perchè scomodare un incipit così importante? Perchè, con buona pace di Tolstoj, e qui vi prego di cogliere l’ironia, mi pare che il romanzo di Sara Fruner, “La notte del bene”, edito da Bollati Boringhieri, suggerisca il contrario di questo assunto, ovvero che i ruoli e i meccanismi dell’infelicità seguono uno schema simile.

Procediamo con ordine. Il luogo da cui tutto inizia è un treno. Ettore ed Elena si trovano seduti vicini in un freddo giorno di gennaio, l’aria carica di neve, l’espediente che fa incrociare i loro sguardi è il profumo “citrico e dolce” di un’arancia appena sbucciata.

Così si incontrano Elena, i lineamenti delicati, la bocca seicentesca e uno sguardo che “ha dentro tutto- un mare caldo” , ed Ettore “corpo slanciato, un’eleganza naturale nei movimenti, una riconosciuta sensualità nel tono profondo della voce. I capelli color cacao, gli occhi grigi di certi gatti sottili, le guance e il naso spolverati di lentiggini quando la primavera lascia spazio all’estate.”

Come nel libro precedente, “L’istante largo”, Sara Fruner ci racconta due personaggi con storie familiari complesse, mancanti, oscure: Ettore, abbandonato da neonato nella ruota degli esposti e successivamente adottato, ed Elena, scomparsa misteriosamente per tre giorni da bambina, senza memoria alcuna di ciò che le è accaduto in quel lasso di tempo.

Elena ed Ettore si innamorano, decidono di vivere insieme, hanno due carriere promettenti davanti, lei laureata in lettere, lui in architettura, si sposano e si affacciano su una miriade di sogni.

Poi, in modo imprevisto, scoprono che diventeranno genitori: ” Se Ettore ed Elena potessero guardare da una certa distanza quell’istante, vedrebbero il piatto su cui hanno disposto tutte le biglie variopinte della loro vita insieme inclinarsi di colpo, facendoli assistere, impotenti, alla fuga precipitosa dei colori.”

Da qui in poi gli equilibri si compromettono, Ettore ed Elena si distanziano, l’una in crisi identitaria, l’altro assorto dal lavoro e preso in mezzo a meccanismi di corruzione. Entrambi impegnati e sfiniti dalla lotta con una nuova figura adulta che si sono cuciti addosso, nella quale, però, non si sentono a proprio agio. Sara Fruner riesce in questo romanzo a parlare di tutto ciò che non si dice, ma che vive tra le pareti di una casa, nell’album di una famiglia, nei silenzi di una coppia. Mette in luce la definizione dei ruoli che pongono le fondamenta di una famiglia, da cui però non si riesce più ad uscire, l’insoddisfazione, la difficoltà a comunicare, il distanziamento, il non sentirsi legati ad un figlio.

Ebbene, ogni “famiglia infelice” lo è per ragioni diverse, ma queste dinamiche non sono sentieri che si percorrono analogamente? Percorsi conosciuti seppur con esiti e consapevolezze diverse?

La scrittrice riesce abilmente a condurre il lettore nella vita di Elena ed Ettore, a vivere la realtà per come entrambi la percepiscono, senza schierarsi dalla parte dell’uno o dell’altra, e senza attribuzione di colpe o giudizi: entrambi egualmente sconfitti, smarriti, entrambi alla ricerca di una via d’uscita.

” Il desiderio dolce e proibito di uscire dalla sua vita lo coglie, e in un istante troppo breve svanisce, lasciandogli in ricordo una strana nostalgia”.

Alla vicenda di Elena ed Ettore si intrecciano le storie di altri personaggi, caratterizzate altresì da salti temporali e spaziali, che alla fine si scoprono confluire intorno al tema della cura e di un nuovo sistema affettivo, che supera gli schemi di genitorialità classicamente intesi.

Se la storia di Macondo , protagonista de “l’Istante largo”, aveva un sapore di lacrime e zucchero, e profumo di tempere, “La notte del bene” ha sicuramente un impatto più forte e amaro, che conduce ad interrogarsi sul buio che abbiamo dentro, seppur con inattesi sprazzi di luce.

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